Il cuore pulsante della Valle del Tempo, nome con cui è conosciuta la Val Pesarina, è il magnifico borgo rurale di Pesariis (Pesaria in carnico). Il nome della frazione deriva dalla presenza della pesa della dogana che controllava i traffici commerciali tra Carnia e Comelico.

L’economia del luogo è incentrata sulla produzione di orologi; il paese, nonostante le piccole dimensioni, è uno dei centri italiani di maggiore importanza per la produzione di orologeria, e ospita un importante Museo dell’Orologio.

La produzione artigianale degli orologi in questo paese pare abbia avuto inizio alla fine del 1600 ad opera di artigiani che avevano appreso tale arte nella Foresta Nera in Germania. Altre fonti invece narrano di un Solari, pirata genovese che, rifugiatosi a Pesariis, mise a frutto le conoscenze acquisite in mare e l’arte appresa a Chiavari, dove già da tempo si costruivano orologi da torre. Egli inventò i grandi marchingegni per misurare il tempo ora visibili nel Museo dell’orologeria pesarina. Durante il ventennio fascista la ditta Solari fornì alle neonate Ferrovie dello Stato gli orologi speciali a carta paraffinata e puntine scriventi che regolavano il traffico dei treni sulla rete. Nel 1939 la ditta si separò in due unità: la Fratelli Solari, a Pesariis, e la Solari di Udine. Mentre il lavoro nella fabbrica veniva rallentato dalla guerra, Remigio Solari inventò un nuovo meccanismo per orologi timbratori.

La maggior parte della documentazione relativa al primo periodo della produzione di orologi è andata persa nel 1944, con l’occupazione cosacca. L’arrivo di oltre ventimila famiglie di soldati fu accompagnato da saccheggi e scontri, che distrussero anche molte raccolte documentaristiche di parrocchie e comuni della zona.

Con la ricostruzione, Pesariis ottenne l’appalto per la produzione degli orologi a palette per le stazioni delle Ferrovie dello Stato, risollevandosi rapidamente: l’80% degli orologi in servizio sulla rete ferroviaria italiana proveniva dal piccolo paese. Passeggiando per le vie del paese, alcuni orologi monumentali catturano l’attenzione del visitatore più attento sottolineando l’antica tradizione di questa vallata. L’attività di costruzione di orologi ebbe un tale successo da coinvolgere la quasi totalità della popolazione nel lavoro della Fabbrica o nel suo indotto, che spaziava dalla produzione di casse di legno per le spedizioni alla canapa per le corde dei macchinari.

Una seconda ondata di emigrazione colpì il paese sulla fine del XIX secolo, anche se più ridotta rispetto al resto della nazione. Gli emigrati al rientro in patria spesso portavano nuove conoscenze sulla meccanica, sui materiali e sulle mode, che contribuirono in modo determinante allo svecchiamento dell’industria locale, con l’introduzione dei primi veri macchinari industriali che consentirono di incrementare la precisione e la qualità dei meccanismi prodotti.

L’utilizzo delle tecniche moderne consentì anche un rapido e importante aumento della produzione, che permise di aumentare la quota destinata all’esportazione.

Negli anni venti e trenta la Fabbrica Solari ebbe grande prosperità, e fu capace di seguire i trend del momento inserendo nuovi tipi di orologi privi di lancette, come quelli a palette o “a scacchiera”. Uno di questi fu installato alle Regie Poste di Napoli, e consisteva in un reticolo di caselle quadrate alto cinque metri, in grado di rappresentare le cifre dell’ora con caselle nere su fondo bianco come su una matrice. Venne distrutto in un bombardamento durante la seconda guerra mondiale, ma una versione più piccola è stata ricostruita, ed è tuttora visibile, nel centro di Pesariis.

Nell’abitato di Pesariis, quasi tutte le case potrebbero raccontare una storia grande o piccola. Degne di nota, tra le altre, la “Casa Solari“, detta “Casa dell’orologio“, realizzata nel XVI secolo e rimaneggiata nel XVIII: in essa nacque nel 1765 papa Gregorio XVI; il museo etnografico “Casa Bruseschi” e l’antica “Casa della Pesa“, così chiamata perché sede di dogana e dazio tra la Repubblica veneta e l’Austria. Particolare è infine la “Gadoria“, strada in ciottolato, le cui case, con i muri non intonacati, sono rimaste tra i pochi rari esempi di casa carnica tipica.

Il Piccolo Museo Etnografico "Casa Bruseschi"

La casa Bruseschi rappresenta la tipica residenza signorile carnica del Seicento e Settecento; si tratta di un grande edificio a pianta rettangolare che si sviluppa su tre piani, con copertura a capanna. L’intera costruzione è stata donata negli anni Sessanta alla Parrocchia di Pesariis da Dorina Bruseschi, ultima esponente della famiglia. Nel prospetto, le aperture sono disposte in modo simmetrico; le finestre, di forma rettangolare, hanno i davanzali aggettanti e le cornici modanate, così come i pulvini e la chiave di volta del portale a tutto sesto, sovrastato da una formella in ceramica dipinta che raffigura la Madonna dei Fulmini. Come nella maggior parte dei palazzi di tipo veneto, all’interno i locali sono disposti in maniera simmetrica rispetto alle scale, che qui troviamo in posizione decentrata e ruotate di 90°. Al piano terra e sulle scale, il soffitto è con volte a crociera in modo da rendere l’intera struttura più solida, in grado di sopportare carichi maggiori e allo stesso tempo la proteggeva dagli incendi, in passato molto frequenti.

Al piano terra si trovano la cucina e il focolare, centri della vita domestica, con la sala da pranzo e un piccolo tinello che fungeva da deposito. Ai piani superiori la distribuzione degli interni si ripete, con le camere da letto e un piccolo soggiorno-studio al primo piano.

STORIA

Dalla fine del XIII secolo, passando attraverso il dominio della Repubblica Veneta, il Regime Napoleonico e l’impero Austro-Ungarico, la frazione di Pesariis ha esercitato la gestione autonoma di un esteso territorio. Risalgono infatti al periodo tra il 1250 ed il 1275 i più rilevanti privilegi concessi da parte del Patriarcato di Aquileia a numerosi comuni della Carnia, tra cui Pesariis stesso. Le concessioni perdurarono anche sotto il regime della Serenissima, la quale molto si adoperò a tutela del patrimonio silvano, sia che si trattasse di beni dello stato – boschi “banditi”, riservati a fornire il legname per l’arsenale di Venezia- sia che riguardassero i beni in uso alle comunità locali. Ed anche se questi ultimi restavano, giuridicamente, di proprietà dello stato, il governo ne lasciava di fatto il godimento alle popolazioni montane, preoccupandosi però della loro destinazione. Ne fu decretata perciò l’inalienabilità, per evitare che andassero nelle mani di privati e furono stabilite pene elevatissime – che potevano arrivare perfino all’esilio – per punire gli usurpi.

Nel territorio di Pesariis, quattro furono i boschi banditi per i bisogni dell’Arsenale di Venezia, detti da allora “delli remi”; gli altri rimanevano in godimento della comunità ed erano inalienabili. Nel 1606, a causa dei continui usurpi da parte dei privati, la Repubblica fu costretta a nominare due periti per rivedere lo stato dei beni comunali e predisporne un catasto ufficiale. Come si è detto, i boschi e i pascoli in godimento comune fornirono alla non numerosa popolazione della montagna un certo grado di ricchezza, tanto da attrarre popolazioni o nuclei familiari più poveri e, di conseguenza, da rendere necessario stabilire regole in base alle quali la comunità stessa rendeva o non rendeva partecipe dei benefici i nuovi abitanti: il forestiero doveva cioè venire solennemente accolto nella comunità da parte dell’assemblea dei capifamiglia per acquisire i diritti sui beni di uso collettivo.

Il regime napoleonico, succeduto alla Repubblica Veneta nel 1797, sulla base dei principi rivoluzionari di affermare più rigorosamente l’uguaglianza del diritto, di laicizzare lo stato e riorganizzarne, accentrandole, le strutture amministrative, tese all’aggregazione dei piccoli centri a quelli maggiori e, con decreto del 1806, si trasferirono tutti i beni delle antiche comunità ai nuovi comuni. I diritti di uso civico non furono aboliti, ma poterono essere esercitati da tutti gli abitanti delle frazioni senza prerogative per gli originari. Nel 1810 tutte le comunità del Canale di San Canciano furono disciolte ed aggregate al comune di Prato e Pradumbli, nonostante l’opposizione ufficialmente espressa da parte della comunità di Pesariis, che contava allora 311 abitanti (in base alla legge napoleonica erano sufficienti 300 abitanti per costituire un comune); subito dopo, nel 1811, il Comune di Prato Carnico decise il concentramento delle attività e passività degli ex comuni divenuti frazioni, il che fu causa di notevoli malumori quando esso decise importanti lavori in favore del capoluogo sfruttando i redditi della frazione di Pesariis.

Dopo il passaggio sotto il Regno d’Italia e dopo anni di numerosi quanto vani ricorsi al Prefetto, i frazionisti chiesero che venisse concessa a Pesariis la separazione di interessi in modo che essa potesse provvedere da sé ai propri bisogni. Il 19 gennaio 1896, a firma Umberto I e contrassegnato Crispi, fu emesso un decreto reale in cui si stabiliva che la frazione di Pesariis “è autorizzata a tenere distinte, da quelle del rimanente Comune, le proprie rendite e passività patrimoniali”. Un successivo decreto del 15 gennaio 1899, firmato Umberto I e contrassegnato Pelloux, stabiliva inoltre: “È riconosciuta come territorio della frazione di Pesariis tutta quella parte del territorio del Comune di Prato Carnico posta a ponente dei torrenti Fuina e Salangians”. Più di un secolo fa iniziò la storia dell’Amministrazione separata di Pesariis.

Dopo il decreto che stabiliva la pertinenza territoriale della frazione di Pesariis, infatti, il Comune di Prato Carnico si oppose, ricorrendo a vari livelli di giudizio contro il riconoscimento dell’appartenenza alla frazione di Pesariis di tutti i beni registrati nel catasto del 1606. L’eterna diatriba tra frazione e comune si concluse il 28 dicembre 1932, quando le parti contendenti firmarono una conciliazione presso il Municipio di Prato Carnico con la quale si dichiararono “del tutto definite le esistenti controversie di promiscuità di uso e godimento dei beni frazionali”. Stabilita finalmente la piena proprietà delle terre, nonché la piena autonomia amministrativa e patrimoniale, la personalità di diritto pubblico della frazione non può essere negata in quanto essa ha da far valere interessi che appartengono ai frazionisti universi, ossia in quanto collettività. A partire dagli anni Trenta, quindi, la frazione di Pesariis – grazie alle rendite provenienti principalmente dalla vendita del legname – si fece carico delle spese previste dalla legge comunale e provinciale inerenti in modo esclusivo la frazione stessa: manutenzione delle vie interne e delle piazze, culto e manutenzione del cimitero, illuminazione pubblica ed istruzione elementare. A partire dagli anni Ottanta, però, causa lo spopolamento che in generale colpì le zone montane ed il concomitante calo del valore del legname sul mercato, l’Amministrazione separata di Pesariis si limitò ad occuparsi soltanto della gestione del patrimonio boschivo, sia per quanto riguarda l’assegnazione delle quote di bosco in godimento gratuito ai residenti, sia relativamente alla vendita di lotti di legname per far fronte alle spese di ordinaria amministrazione.

L'Architettura Tipica

Nell’abitato, gli edifici sono organizzati attorno a due poli principali:

  1. il nucleo della Pesa, dove le case presentano un fronte unico e continuo;
  2. il borgo Chiaciut, adiacente al fiume, è, probabilmente, il più antico, qui troviamo anche la chiesa ed il cimitero.

I due poli si distinguono per le loro diverse funzioni, infatti, il primo, situato lungo le maggiori vie di comunicazione, era il centro destinato al commercio ed agli affari; mentre il borgo Chiaciut è di dimensioni più contenute sia per la sua posizione marginale sia per la mancanza di soleggiamento di questa zona, essendo un’area legata alle attività agricole esso si presenta con una conformazione diversa. La prima immagine di Pesariis si trova in un affresco della chiesa di Osais risalente al 1506, dove sono raffigurati due paesi, Osais e Pesariis, posti sulla riva sinistra di un fiume e separati da un profondo avvallamento che coincide con il torrente Fuina. La disposizione planimetrica del villaggio dipinto ricorda i caseggiati attuali, mentre la torre che si può vedere all’interno delle mura corrisponde alla torre dell’orologio, il cui basamento risale al XIV-XV secolo. Il massimo sviluppo dell’insediamento avviene nel Quattrocento quando alla caduta del regime patriarcale sopravviene il dominio Veneto.

Esistono poi dei documenti risalenti al 1602 da cui possiamo valutare la dimensione dei centri della Val Pesarina e dove spicca il ruolo predominante di Pesariis che, essendo una località di confine con il Cadore, era un luogo legato al commercio ed ai dazi; la stazione daziale è riconducibile al periodo patriarcale, ma l’uso doganale si protrasse fino all’età napoleonica. Tra il Seicento e il Settecento avviene anche la costruzione delle aree intermedie fra i due nuclei principali, ed in quest’epoca il paese assume una struttura ben definita. Le prime documentazioni cartografiche sono le Mappe del Catasto Napoleonico che risalgono ai primi anni dell’Ottocento, confrontandole con mappe più recenti notiamo che la conformazione insediativa non presenta trasformazioni rilevanti.

Le vie più importanti si presentavano, già allora, con fronti continui ed ingressi sulla strada, mentre nel resto del paese l’aggregazione edilizia era più libera; esistevano varie piazze o corti che costituivano i centri di ritrovo per la gente, qui si potevano trovare attrezzature comuni, come fontane o abbeveratoi per gli animali. Durante l’Ottocento venne riedificata la chiesa risalente al 1348, ed il piazzale antistante fu ampliato e terrazzato; in questo periodo anche alcuni borghi, ad esempio il borgo Vischia, passarono da una fisionomia di carattere prevalentemente commerciale ad una di carattere rurale. Nei decenni successivi il degrado edilizio, indotto da mutamenti economici e sociali, ha investito l’abitato di Pesariis come tutti gli altri centri della vallata. Le caratteristiche degli edifici sono in genere legate – nella forma come nella struttura, nelle misure come nei materiali utilizzati – alle risorse naturali, al clima, alla natura del terreno e soprattutto al lavoro ed alle consuetudini della vita quotidiana della gente del luogo. L’architettura qui si caratterizza per lo slancio verticale e la contenuta sporgenza dei tetti, i quali per il forte innevamento sono molto spioventi. Gli edifici hanno la base a forma di parallelepipedo con i muri molto spessi fatti con pietre al naturale o sbozzate, che venivano accostate e sovrapposte. Le murature delle abitazioni erano solitamente intonacate con la calce, lasciando in vista le parti più pregiate in tufo.

Un tipo di struttura legata all’uso della pietra è quella dei volti – nelle case signorili risalenti al 1600, con soffitti caratterizzati da volte a crociera; questa tecnica era utilizzata soprattutto per il piano terra e il vano scale, anche se non mancano esempi di volti ai piani superiori, soprattutto nelle case delle famiglie più ricche. Il loro uso rendeva l’intera struttura più solida, in grado di sopportare carichi maggiori e la proteggeva dagli incendi, in passato molto frequenti.

I solai più semplici, invece, erano costruiti con travi di legno, sopra il tavolato veniva creato un sottofondo in calce e sabbia alleggerito con la paglia per il pavimento poi rivestito con assi di legno. Per quanto riguarda le coperture, esse sono formate da capriate in legno generalmente di rovere, mentre il manto di copertura – originariamente in paglia – venne sostituito, nel tardo medioevo, con materiali ignifughi come le tegole in cotto o in terracotta smaltata chiamate “planelas“. Questo tipo di tegole a forma rettangolare con un lato arrotondato e all’estremità opposta un dente per agganciarla all’intelaiatura del tetto, vengono ancora utilizzate, sono disposte a squame per formare una superficie piatta dove l’acqua può defluire senza problemi. Un’altra particolarità delle costruzioni sono le sovrastrutture lignee, che comprendono i tamponamenti e i parapetti sui frontoni delle coperture e i vari poggioli. Molte di queste sono decorate con motivi a traforo di origine naturalistica o religiosa, infatti, sono numerose le croci. Vari fattori hanno contribuito alla continua trasformazione degli edifici, fra questi la crescita demografica ed economica che durante il Settecento ha portato alla sopraelevazione di un piano di quasi tutti gli edifici.

Per quanto riguarda le tipologie edilizie a Pesariis possiamo individuare tre gruppi principali:

  1. edifici residenziali, che comprendono case ad archi, edifici a “cellula” e le costruzioni miste;
  2. edifici rustici adibiti a ricovero per gli animali ed a magazzino per i prodotti agricoli, disposti soprattutto sul perimetro esterno del centro abitato;
  3. edifici contrastanti, ossia le costruzioni più recenti.

Da visitare è Casa Solari o Casa dell’Orologio, risalente al XVI secolo (nelle quale nacque papa Gregorio XVI) e il Museo dell’Orologeria Pesarina, che ospita una preziosa raccolta di orologeria, i cui meccanismi più antichi risalgono al XVII secolo. Se alzate lo sguardo verso la torre comunale, vedrete l’orologio della torre con il sole del quadrante e la campana che rintocca; questo capolavoro è opera del signor Antonio Solari e risale al 1852. La famiglia Solari si era specializzata negli orologi da torre, ed è passata, in tempi più moderni, nel giro di qualche generazione, dai piccoli orologi da parete (i “pesarini” appunto) agli orologi digitali per stazioni ferroviarie e aeroporti internazionali. In omaggio all’arte di costruire orologi è stato costruito quindi un vero e proprio museo all’aperto, con orologi di tutti i tipi, ad acqua, meridiane, con il carillon, orologi astronomici calendari e stellari, orologi a palette giganti, a turbina, a scacchiera, a vasche… Uno di questi orologi dà il benvenuto in Val Pesarina, all’ingresso della vallata in frazione Croce (orologio con eclittica), un altro è stato posizionato all’entrata del Municipio in Frazione Pieria (orologio con automa). L’opera che maggiormente illustra l’ingegno degli orologiai carnici è senz’altro l’orologio della torre di piazza Libertà di Udine, molto amato dagli udinesi e “oggetto” più fotografato dai turisti. La macchina attualmente in funzione risale alla prima metà del 1800 ed è opera di Baldassarre Pustetto di Ravascletto, ultimata e revisionata nel 1852 da Antonio Solari insieme ai figli.